LA CORTE D'APPELLO DI FIRENZE 
                          Sezione I Civile 
 
    Composta dai signori magistrati: 
        dott. Giulio De Simone, Presidente rel.; 
        dott. Andrea Riccucci, consigliere; 
        dott. Domenico Paparo, consigliere; 
    Ha pronunciato il seguente, 
 
                               Decreto 
 
nella causa civile iscritta al n. 419/2014 del ruolo della volontaria
giurisdizione di  questa  Corte  e  vertente  tra  Giuseppe  Mussari,
rappresentato e difeso dagli avv.ti  Sido  prof.  Bonfatti,  Federica
Nicolini e Maddalena Gajo in forza di procura a margine  del  ricorso
in opposizione ed elettivamente  domiciliato  in  Firenze  presso  lo
studio dell'avv. Gajo in via del Pellegrino n. 26. 
    Ricorrente e Commissione nazionale per le  societa'  e  la  borsa
(CONSOB) in persona del  Presidente  e  legale  rappresentante  dott.
Giuseppe Carlo Ferdinando Vegas, rappresentata e difesa dagli  avv.ti
Salvatore Providenti,  Maria  Letizia  Ermetes,  Gianfranco  Randisi,
Annunziata Palombella ed Elisabetta  Cappariello,  appartenenti  alla
consulenza legale interna, come da procura a margine  della  comparsa
di costituzione e  risposta,  elettivamente  domiciliata  in  Firenze
presso lo studio dell'avv. Andrea Vannini, studio Paratore  Pasquetti
& Partners, in via Pasquale Villari n. 39; 
    Resistente con l'intervento del P.G. in sede la Corte  letti  gli
atti del procedimento, osserva quanto segue: 
        nei confronti dell'avv. Giuseppe Mussari la CONSOB  procedeva
a notificare quattro distinti  provvedimenti  sanzionatori,  adottati
con altrettante delibere: la delibera n. 18856, adottata il 9  aprile
2014; b) la delibera n. 18886, adottata il  18  aprile  2014;  c)  la
delibera n. 18885, adottata il 17 maggio  2014;  d)  la  delibera  n.
18924, adottata il 21 maggio 2014.  L'interessato  proponeva  reclamo
avverso tutti i suddetti provvedimenti, procedendo  a  notificare  un
unico  ricorso  in  data   19   giugno   2014.   Eccepiva   anzitutto
l'inesistenza delle notificazioni delle delibere, per vizi  afferenti
la   procedura   sanzionatoria;   deduceva    l'illegittimita'    dei
provvedimenti, per vizi inerenti la composizione dell'organo  che  li
aveva  emanati,  il  procedimento  in  esito  al  quale  erano  stati
pronunciati,  la  violazione  del  principio  del  ne-bis  in   idem,
l'illegittimo  frazionamento  delle  contestazioni.  Eccepiva,  nello
specifico  dei  singoli  provvedimenti,  l'intervenuta   prescrizione
dell'eventuale  illecito,  l'erroneita'  del  giudizio,  la   propria
carenza di responsabilita'. La CONSOB  si  costituiva,  eccependo  la
tardivita' dell'opposizione spiegata in ordine a  tre  delle  quattro
delibere   notificate   e   contestando   nel   merito   le    difese
dell'interessato. All'udienza camerale fissata  per  la  comparizione
delle parti i difensori  dell'opponente  chiedevano  termini  per  il
deposito di ulteriori difese, termini che erano concesso ad  entrambe
le parti ed erano in concreto  utilizzati  soprattutto  per  trattare
ulteriormente  i  temi  della  validita'  delle  notificazioni  delle
delibere e del ricorso in opposizione. 
    In  sintesi,   l'opponente   ha   sostenuto   che   la   delibera
sanzionatoria deve ritenersi illegittima per essere stati  violati  i
principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti  istruttori
e della distinzione fra funzioni  istruttorie  e  funzioni  decisorie
posti dall'art. 195 comma 2 del TUF,  e  quelli  posti  dall'art.  24
comma 1 della legge n. 262/2005, e cio' in quanto: - la Consob,  allo
scopo della disciplina al suo interno del procedimento sanzionatorio,
aveva adottato le delibere n. 15131 del 5 agosto 2005 e n. 15086  del
21 giugno 2005 (la prima relativa ai termini ed al  responsabile  del
procedimento, e la seconda agli  altri  aspetti  funzionali);  -  per
effetto di quanto sopra gli  interessati  hanno  la  possibilita'  di
presentare deduzioni  all'Ufficio  sanzioni  amministrative  (cui  in
precedenza  la  divisione  operativa  ha  trasmesso  gli   atti   del
procedimento  e  le  sue  valutazioni),  e  questo,  considerate   le
valutazioni   della    divisione    operativa    e    le    deduzioni
dell'interessato,  formula  le  sue  conclusioni   in   ordine   alla
sussistenza o meno della violazione ed alla misura della sanzione  da
applicare, conclusioni delle quali  e'  destinataria  la  commissione
che, in composizione collegiale, deve poi stabilire se  accogliere  o
meno  la  proposta  dell'Ufficio  sanzioni  amministrative;  -   tale
procedimento contrasterebbe con il principio del  contraddittorio  in
quanto  nella  fase  finale  del   procedimento   ed   immediatamente
precedente la decisione della commissione il soggetto interessato non
sarebbe posto in grado di svolgere le  sue  difese;  cio'  in  quanto
l'interessato  non  potrebbe  interloquire  con  la  commissione  (in
sostanza la commissione in composizione collegiale non potrebbe  «...
farsi una sua idea della vicenda oggetto della proposta sanzionatoria
e si limita a ratificare l'operato svolto dagli  uffici»  -  cosi'  a
pag. 6 dell'atto di opposizione); - la violazione  del  principio  di
conoscenza  degli  atti  istruttori  deriverebbe  dal  fatto  che  la
proposta dell'Ufficio sanzioni amministrative non verrebbe portata  a
conoscenza degli interessati,  nonostante  contenga  sempre  elementi
nuovi quali quelli  attinenti  alla  quantificazione  della  sanzione
amministrativa in relazione ai criteri di cui all'art. 11 della legge
n.  689/1989;  -  sarebbe  esclusa  la   distinzione   tra   funzioni
istruttorie e decisorie in quanto, nonostante vi sia una  distinzione
di ruoli fra gli uffici, non vi sarebbe  una  «concreta  indipendenza
nell'esame  delle  questioni   sottoposte»:   cio'   in   quanto   la
commissione,   ricevendo   la    proposta    dell'Ufficio    sanzioni
amministrative «perde la sua autonomia di giudizio»  in  quanto  alla
proposta    non    si    contrapporrebbe    un'attivita'    difensiva
dell'interessato e la commissione non avrebbe poteri di  indagine  ed
approfondimento cosicche',  di  fatto,  l'  attivita'  decisoria  che
dovrebbe  essere   demandata   alla   Commissione   sarebbe   rimessa
all'Ufficio   sanzioni   amministrative   preposto    ad    attivita'
istruttoria; - elementi a conforto della  tesi  della  illegittimita'
dello specifico procedimento sanzionatorio  dovrebbero  trarsi  dalla
sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in  data  4  marzo
2014 (Grande Stevens/Italia ricorso n. 18640/10)  con  la  quale,  in
relazione al procedimento sanzionatorio di cui  all'art.  187-septies
TUF (eguale a quello di cui all'art.  195  dello  stesso  TUF),  sono
stati  accertati  vizi  dovuti:  a)  al  fatto   che   la   relazione
dell'Ufficio  sanzioni  amministrative  non  viene  comunicata   agli
interessati i quali,  quindi,  non  possono  difendersi  proprio  sul
documento in relazione al quale la Consob fonda la propria decisione;
b) gli interessati non hanno la possibilita'  di  interrogare  o  far
interrogare le persone ascoltate dagli Uffici  della  Consob  durante
l'istruttoria; c)  gli  interessati  non  hanno  la  possibilita'  di
partecipare alla seduta nella quale la  Commissione  in  composizione
collegiale decide sull'applicazione della sanzione; - sempre in  tale
sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e' stata affermata
per la Commissione la sussistenza della  indipendenza  ma  non  anche
dell'imparzialita' in quanto gli uffici preposti all'istruttoria e la
Commissione  «...  non  sono  che  dei  rami  dello   stesso   organo
amministrativo, che agiscono sotto l'autorita' e la  supervisione  di
uno stesso Presidente» e cio' comporta «...  l'esercizio  consecutivo
delle funzioni di inchiesta e di decisione nel  seno  di  una  stessa
istituzione, cio' che e' incompatibile, ad avviso  della  Corte,  con
l'esigenza di imparzialita'»; 
        il procedimento di opposizione dinanzi alla  Corte  d'appello
(art. 195 comma 4 del decreto legislativo n. 58/98) e' camerale, come
reso evidente dall'art. 195 comma 7 del decreto legislativo cit  («La
corte d'appello  decide  sull'opposizione  in  camera  di  consiglio,
sentito il pubblico ministero, con decreto motivato»); 
        l'opponente  nella  sostanza  deduce  l'illegittimita'  della
delibera  sanzionatoria  per  carenze  di  contraddittorio   che   si
collocano all'interno del procedimento Consob, ma non  pare  corretto
valutare  le  garanzie  di  difesa  per  segmenti  del  procedimento,
prescindendo dalla considerazione della fase eventuale, a  cognizione
piena,  dinanzi  all'autorita'  giudiziaria;  al   riguardo   occorre
richiamare i principi espressi dalla Corte EDU nella  detta  sentenza
n. 18640 del 4 marzo 2014 resa in un caso  in  cui  si  discuteva  di
sanzioni  per  illeciti  ex  art.  187-ter  TUF  dalla  Corte  stessa
qualificate come sostanzialmente di natura penale; giova al  riguardo
ricordare che giusta tale sentenza (cfr. paragrafo 94) «...  al  fine
di stabilire la  sussistenza  di  una  "accusa  in  materia  penale",
occorre tener presenti tre criteri: la qualificazione giuridica della
misura  in  causa  nel  diritto  nazionale,  la  natura   stessa   di
quest'ultima, e la natura e il grado di  severita'  della  "sanzione"
(Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A  n.  22).
Questi criteri sono peraltro alternativi e non cumulativi:  affinche'
si possa parlare di «accusa in materia penale» ai sensi dell'art. 6 §
1, e' sufficiente che il  reato  in  causa  sia  di  natura  «penale»
rispetto alla  Convenzione,  o  abbia  esposto  l'interessato  a  una
sanzione che, per natura e livello  di  gravita',  rientri  in  linea
generale nell'ambito della "materia penale". Cio'  non  impedisce  di
adottare un  approccio  cumulativo  se  l'analisi  separata  di  ogni
criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito
alla sussistenza di  una  "accusa  in  materia  penale"  (Jussila  c.
Finlandia [GC], n. 73053/01, §§ 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c.
Lettonia, n. 65022/01, § 31,  CEDU  2007-IX  (estratti))»;  parimenti
occorre  richiamare  la  giurisprudenza   della   Corte   cost.   (in
particolare sentenza n. 104 del 2014) per la quale tutte le misure di
carattere punitivo afflittivo (ivi comprese evidentemente quelle  che
l'ordinamento Interno qualifica come sanzioni amministrative)  devono
essere soggette alla medesima disciplina  della  sanzione  penale  in
senso stretto (principio espresso agli effetti della Irretroattivita'
delle disposizioni che introducono sanzioni amministrative); 
        premesso che non e' incompatibile con la Convenzione affidare
la repressione di violazioni ad una autorita' amministrativa quale e'
la Consob (paragrafo 138 sentenza. Corte EDU del 4 marzo 2014  cit.),
il  rispetto  della  Convenzione,  a  prescindere   da   carenze   di
contraddittorio che possano essersi verificate  in  alcune  fasi  del
procedimento, viene assicurato dalla possibilita' di ricorrere ad  un
giudice dotato di giurisdizione piena quale e' la corte d'appello; la
conclusione cui e' giunta la Corte EDU e' stata,  quindi,  nel  senso
che «... il procedimento dinanzi alla CONSOB non soddisfacesse  tutte
le esigenze dell'art. 6 della  Convenzione,  soprattutto  per  quanto
riguarda la parita' della armi tra  accusa  e  difesa  e  il  mancato
svolgimento di una udienza  pubblica  che  permettesse  un  confronto
orale»; nonostante quanto precede la Corte ha escluso una  automatica
violazione dell'art. 6 della Convenzione proprio in  quanto:  1)  non
era contrario alla Convenzione che le sanzioni, giusta  la  normativa
interna, fossero inflitte da un' autorita' amministrativa quale e' la
Consob;  2)  occorreva  che  i  soggetti  destinatari   passivi   dei
provvedimenti  sanzionatori  potessero  impugnarli  dinanzi   ad   un
tribunale in grado di dare una decisione  nel  rispetto  dell'art.  6
della Convenzione; 3) cio' era avvenuto nella fattispecie  in  quanto
gli interessati si erano avvalsi della possibilita' di  impugnare  le
sanzioni inflitte dinanzi alla Corte d'appello di Torino; il problema
secondo la Corte EDU atteneva allo stabilire se tale Corte  d'appello
fosse «organo dotato di  piena  giurisdizione»  ai  sensi  della  sua
giurisprudenza  (questione  risolta  in  senso  affermativo),  e   se
l'udienza svolta dinanzi a tale  giudice  fosse  stata  pubblica;  e'
proprio in riferimento alla assenza di udienza pubblica che la  Corte
EDU e' giunta alla conclusione  della  violazione  della  Convenzione
(«161. Alla luce di quanto esposto, la Corte ritiene che, anche se il
procedimento dinanzi alla CONSOB non ha soddisfatto  le  esigenze  di
equita' e di imparzialita' oggettiva dell'art. 6 della Convenzione, i
ricorrenti hanno beneficiato del successivo controllo da parte di  un
organo indipendente e imparziale dotato di  piena  giurisdizione,  in
questo caso la Corte d'appello di Torino. Tuttavia, quest'ultima  non
ha tenuto un'udienza pubblica, fatto che,  nel  caso  di  specie,  ha
costituito una violazione dell'art. 6 § 1  della  Convenzione.»);  la
pubblicita' dell'udienza, nell'assunto espresso dalla  Corte  EDU  in
tale decisione, ha,  quindi,  assunto  una  funzione  centrale  e  di
necessaria chiusura del sistema delle garanzie; 
        per altro la giurisprudenza della Corte EDU  in  ordine  alla
imprescindibilita' della udienza pubblica agli effetti  del  rispetto
dell'art. 6 § 1 della Convenzione non esprime un  principio  assoluto
valido per tutti i casi; ad es. nella sentenza in  data  23  novembre
2006 nel caso Jussila  contro  Finlandia  la  Corte  EDU,  dopo  aver
ribadito che tenere un'udienza pubblica e' un principio  fondamentale
posto dall'art. 6 della  Convenzione  e  che  tale  principio  e'  di
particolare importanza nella materia penale, ha  osservato  che  «...
l'obbligo di tenere un'udienza pubblica non e' assoluto. L'art. 6 non
esige necessariamente di tenere udienza in tutti i procedimenti. Cio'
vale, in particolare, per i  casi  che  non  sollevano  questione  di
credibilita'  o  che  non  scatenano  controversia  sui   fatti   che
necessitano di  una  udienza  e  per  i  quali  i  tribunali  possono
pronunciarsi in modo equo e ragionevole sulla base delle  conclusioni
presentate dalle parti e di altri  elementi.  Inoltre,  la  Corte  ha
riconosciuto che le  autorita'  nazionali  possono  tener  conto  del
problemi di efficienza ed economicita', ritenendo, per  esempio,  che
l'organizzazione  sistematica  di  dibattiti  possa   costituire   un
ostacolo alla particolare diligenza richiesta in materia di sicurezza
sociale ed,  in  definitiva,  impedire  il  rispetto  di  un  termine
ragionevole ai sensi dell'art. 6 § 1...»; ancora in tale sentenza  e'
stato osservato che «...  in  un  procedimento  di  prima  ed  ultima
istanza, l'udienza deve essere tenuta, salvo circostanze  eccezionali
che giustifichino di farne a meno... l'esistenza di tali  circostanze
dipende in gran parte dalla natura dei problemi di  cui  i  tribunali
sono  investiti,  e  non  dalla  frequenza  dei  casi   in   cui   si
presentano...»; 
        la sanzione inflitta all'opponente deve essere qualificata di
natura  lato  sensu  penale,  nonostante  l'ordinamento  interno   la
qualifichi formalmente come sanzione amministrativa, in  quanto  sono
vincolanti l'interpretazione data dalla Corte EDU e l'indicazione  da
essa fornita dei criteri in relazione ai quali  vagliare  l'effettiva
natura  di  una  sanzione;  chiarito  che  la   qualificazione   data
dall'ordinamento  interno  non  e'  dirimente,  in   quanto   occorre
verificare se una sanzione sia di natura «penale» agli effetti  della
applicazione  della  Convenzione,  non  puo'  non   considerarsi   la
particolare gravita' afflittiva della  sanzione  pecuniaria  prevista
dall'art. 190 del decreto legislativo n.  58/98,  per  la  violazione
dell'art. 21 dello stesso decreto legislativo;  al  riguardo  occorre
precisare che deve aversi riguardo, agli effetti che qui interessano,
alla sanzione edittale e non a quella in concreto irrogata in quanto,
ovviamente, l'individuazione della natura  della  sanzione  prescinde
dalle circostanze che ne determinano la modulazione fra il minimo  ed
il massimo; convince ulteriormente  della  detta  natura  lato  sensu
penale l'esclusione, disposta dall'art. 190 del  decreto  legislativo
n. 58/98 dell'applicabilita' dell'art. 16 legge n. 689/81  (pagamento
in misura ridotta), e soprattutto  il  regime  pubblicitario  proprio
delle sanzioni Consob;  al  riguardo  occorre  ricordare  che  giusta
l'art. 195 comma 3 del decreto legislativo n. 58/98 «Il provvedimento
di  applicazione  delle  sanzioni  e'  pubblicato  per  estratto  nel
Bollettino della Banca d'Italia o della CONSOB. La Banca  d'Italia  o
la CONSOB,  tenuto  conto  della  natura  della  violazione  e  degli
interessi coinvolti, possono stabilire modalita' ulteriori  per  dare
pubblicita' al provvedimento, ponendo  le  relative  spese  a  carico
dell'autore della violazione, ovvero  escludere  la  pubblicita'  del
provvedimento, quando la stessa possa mettere gravemente a rischio  i
mercati finanziari o arrecare un danno sproporzionato alle parti:  la
previsione di pubblicita' (nel caso in esame e' stata  confermata  la
pubblicita' normalmente prevista per estratto  nel  Bollettino  della
Consob), estensibile a  forme  ulteriori  (quali  la  pubblicita'  su
quotidiani), evidenzia ulteriormente il  carattere  afflittivo  della
sanzione, in ragione delle ripercussioni negative  sull'immagine  del
soggetto colpito dal provvedimento sanzionatorio; 
        le considerazioni che precedono evidenziano una questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  195  comma  7  del   decreto
legislativo n. 58/98, norma che  potrebbe  essere  in  contrasto  con
l'art. 117 Cost. in quanto non conforme all'art. 6 della Convenzione; 
        la questione oltre ad essere non manifestamente infondata, e'
rilevante in questo giudizio in  quanto,  accertata  la  natura  lato
sensu penale della sanzione giusta vincolanti criteri di  valutazione
posti  dalla   Corte   EDU,   dovendo   questa   Corte   d'   appello
necessariamente seguire il rito camerate imposto dall'art. 195  comma
7 del decreto legislativo n.  58/98  (senza  che  sia  possibile  una
diversa  interpretazione,  salvo  una  inammissibile  disapplicazione
della norma, e senza che sia possibile introdurre il correttivo della
pubblicita' dell'udienza che, di per se', renderebbe non camerale  il
procedimento),  ed  essendo  il  rito  camerale,   per   definizione,
caratterizzato dalla assenza di  una  pubblica  udienza,  essendo  il
giudizio di opposizione, secondo la giurisprudenza  della  Corte  EDU
suscettibile di integrare, in presenza di determinate condizioni,  il
sistema di garanzie che deve connotare il procedimento sanzionatorio,
ove un giudizio che si svolge con il rito camerale fosse al  riguardo
Inidoneo, la conclusione obbligata sarebbe l'eccepita  illegittimita'
del procedimento sanzionatorio e del provvedimento sanzionatorio  che
lo conclude; 
        preme  rilevare  che  il  sospetto  di  non   conformita'   a
Costituzione (art. 117 comma  1)  investe  l'art.  195  comma  7  del
decreto legislativo n. 58/98, e non anche le norme del codice di rito
che prevedono il rito camerale; la Corte costituzionale in  ordine  a
tale rito si e' gia' espressa, ed occorre segnatamente  ricordare  la
sentenza n. 543/1989 con la quale e' stato affermato che  secondo  la
costante giurisprudenza  della  Corte  stessa  «...  il  procedimento
camerale non e' di per se' in contrasto con il diritto di difesa,  in
quanto l'esercizio di quest'ultimo e' variamente configurabile  dalla
legge, in relazione alle peculiari esigenze dei vari processi purche'
ne i vengano assicurati lo scopo e la funzione, cioe' la garanzia del
contraddittorio, in modo che sia escluso ogni ostacolo a  far  valere
le ragioni delle parti»; nella stessa sentenza e' stato osservato che
«... L'adozione della procedura camerale, anche nei casi in cui si e'
in presenza di elementi di giurisdizione contenziosa, risponde dunque
a criteri di politica legislativa, inerenti alla valutazione  che  il
legislatore compie circa l'opportunita' di adottare determinate forme
processuali in relazione alla natura degli interessi da regolare  ed,
in quanto tale, sfugge quindi al sindacato di questa Corte nei limiti
in cui, ovviamente, non si  risolve  nella  violazione  di  specifici
precetti  costituzionali  e  non  sia  viziata  da   irragionevolezza
(ordinanza n. 748 del 1988 e sentenza n. 142  del  1970)»;  la  Corte
cost. nella detta sentenza, non ha mancato di rilevare  che  il  rito
camerale non viola il diritto di prova in quanto»... anche  nel  rito
camerale in appello e'  possibile  acquisire  ogni  specie  di  prova
precostituita  e  procedere  alla  formazione  di   qualsiasi   prova
costituenda, purche' il relativo modo di assunzione  -  comunque  non
formale nonche' atipico - risulti, da un lato, sempre compatibile con
la natura camerale del procedimento,  e,  dall'altro,  non  violi  il
principio  generale  della  idoneita'  degli  atti   processuali   al
raggiungimento del loro scopo...»; 
        la questione pero' non e' quella  di  stabilire  se  il  rito
camerale assicuri sufficientemente la difesa od  il  contraddittorio,
bensi' quella di stabilire se un'opposizione  avanti  ad  un  giudice
dotato di giurisdizione piena ma vincolato  al  rito  camerale  possa
integrare carenze del procedimento sanzionatorio Consob; una risposta
negativa al quesito porrebbe il detto art. 195 comma  7  del  decreto
legislativo in contrasto con  l'art.  6  §  1  della  Convenzione  e,
quindi,  con  l'art.  117  Cost.;  il  dubbio  al  riguardo  non   e'
manifestamente infondato stante  la  ricordata  giurisprudenza  della
Corte EDU laddove ha segnalato la particolare importanza dell'udienza
pubblica quando si discute di sanzioni  penali;  certo,  come  si  e'
detto, il principio  della  pubblicita'  dell'udienza  non  e'  stato
espresso in termini assoluti, e la necessita' o meno di una  pubblica
udienza va ricostruita  in  relazione  alla  natura  della  questione
controversa,  ma  tale  operazione  si  risolve   nel   giudizio   di
conformita'  all'  art.  117  comma  1  Cost.  della   detta   norma,
conformita' sulla quale questa Corte non puo' non esprimere un dubbio
sulla base della giurisprudenza della Corte EDU  (analoga  questione,
per altro, risulta sollevata recentemente dalla  Corte  d'appello  di
Genova; con ordinanza 10 dicembre 2014 - 8 gennaio 2015).